domenica 20 maggio 2012
Quanto costa avere un tumore?
Avere un cancro in Italia costa molto: in media 34mila euro l’anno per ogni paziente. Nel complesso, il costo sociale totale relativo ai circa 960 mila italiani che hanno avuto una diagnosi di tumore negli ultimi 5 anni e alle 776 mila persone che se ne prendono cura in modo totale o parziale (e che spesso sono suoi familiari) è pari a 36,4 miliardi di euro annui.
Sono cifre decisamente alte quelle emerse dal quarto rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, realizzato dal Censis in collaborazione con la Favo (Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia) e presentato in occasione della giornata nazionale del malato oncologico. L’indagine condotta su 1.055 pazienti ha dato vita, grazie anche al contributo di Federsanità Anci, Inps, Ministero della Salute e Istituto tumori di Milano, alla pubblicazione intitolata proprio “Gli elevati costi sociali del tumore”.
Secondo il nuovo rapporto, sono oltre 2,2 milioni le persone che hanno avuto una diagnosi di tumore nella loro vita e, di queste, 960 mila circa negli ultimi cinque anni. Mentre sono 776 mila le persone che hanno un cosiddetto caregiver, una persona di riferimento che si prende cura di loro, che in 8 casi su 10 è un familiare. Ognuna di queste persone deve andare dal medico, magari spostandosi da una città a un’altra, prendere farmaci (che di solito sono molto costosi), assumere una badante. Spesso dovendo smettere di lavorare. La domanda che ci si è posti è: quanto vale tutto questo in termini economici?
Il calcolo è stato fatto sommando costi diretti e indiretti. Nella prima categoria rientrano i costi di tipo medico, ad esempio per le visite specialistiche o i farmaci, ma anche quelli di tipo non medico come i trasporti. Nella seconda categoria invece rientrano i redditi da lavoro mancati per assenze forzate o per la cessazione della propria attività lavorativa (in sostanza, quello che avrei potuto guadagnare se non mi fossi ammalato), ma anche i servizi in natura forniti dai caregiver . I risultati sono quelli che abbiamo ricordato: 36,4 miliardi di euro spesi ogni anno. D’altro canto, i sussidi per i malati di tumore ammontano complessivamente a 1, 1 miliardi di euro, pari a poco più del 3% del costo sociale totale. Una situazione che il rapporto del Censis riassume così: meno redditi, più costi. Sarà per questo che il 77,3% degli intervistati afferma di considerare di buon livello i servizi sanitari forniti, mentre vengono giudicate insufficienti l'assistenza domiciliare e le tutele economiche.
Ma durante la presentazione del rapporto è emerso un altro grande problema: l’accesso al trattamento non sarebbe uguale in tutte le regioni italiane. Secondo la denuncia avanzata dalla Favo, esistono ancora nel Paese diversità di accesso ai «nuovi» farmaci antitumorali tra le Regioni, dovute a differenti meccanismi di valutazione per l’inserimento nei prontuari terapeutici regionali. Oggi – dicono alla Favo - solo in quattro Regioni (Lombardia, Piemonte, Friuli Venezia-Giulia e Marche) e nella Provincia autonoma di Bolzano vengono recepite immediatamente le indicazioni dell`Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco). In tutte le altre, dotate di un proprio prontuario, i farmaci «nuovi» non vengono resi disponibili ai malati fino a quando, e solo se, vengono esaminati e approvati anche da Commissioni tecnico-scientifiche regionali. “Insieme all`Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) e alla Società Italiana di Ematologia (Sie) abbiamo inviato una lettera al Ministro della Salute Renato Balduzzi per evidenziare questa situazione preoccupante” spiega Francesco De Lorenzo, presidente della Favo.
Il problema è che i farmaci antitumorali sono particolarmente costosi a fronte di un beneficio limitato, ad esempio una sopravvivenza di alcuni mesi. “Alcune regioni – spiega Maurizio D’Incalci, direttore del dipartimento di oncologia dell’Istituto Mario Negri di Milano - possono seguire un criterio più stretto nella valutazione costi/benefici. Questo rende più difficile l’inserimento di un farmaco nel prontuario. A mio parere però ci dovrebbe essere un criterio nazionale: se l’Aifa decide che il farmaco è rimborsabile, il farmaco dovrebbe essere disponibile su tutto il territorio nazionale. Anche perché accade che il paziente si sposti in un’altra regione per ottenerlo e la regione di provenienza alla fine deve comunque pagare”.
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